Il nuovo libro
La linea spezzata
Se questo libro fosse stato progettato una trentina di anni fa, il suo oggetto sarebbe stato facilmente identificabile. Ma oggi, parlare di disinformazione è davvero complesso, dato che tutto è informazione, dato che le fonti si sono moltiplicate infinitamente per quantità e varietà e la distinzione tra di esse non è netta. L’informazione e la disinformazione non sono più imputabili ad un singolo ambito professionale. Sono diventate una risorsa e al contempo un problema diffuso. Si sono trasformate nell’aria che respiriamo. E come l’aria che entra nel nostro organismo, facendolo funzionare bene o male, anche le informazioni di buona o cattiva qualità entrano in circolo nell’organismo sociale determinandone lo stato di salute. Per cui, proviamo a fare un po’ d’ordine. Il termine “informazione” sottende l’azione di dare forma a qualcosa. Nell’uso quotidiano, però, l’atto dell’informare o informarsi è tradotto nel dare o ricevere notizie. Spesso la ricerca o la produzione delle notizie è motivata da vari tipi di necessità, tra le quali quella più generica ma fondamentale di sentirsi parte di un tutto dai confini sempre più ampi e indefiniti che chiamiamo “società”. Quando ci rapportiamo con le news tendiamo a relegare in un angolino della coscienza la consapevolezza chele informazioni danno forma, mediano attivamente il nostro rapporto con la realtà. E forse questa consapevolezza è ancor più messa all’angolo quando a produrre informazioni, ad avviare processi di comunicazione siamo noi in prima persona. Per varie ragioni che il libro prova a prendere in esame, siamo così dentro la nostra visione delle cose da non renderci conto che è solo una visione. La consapevolezza della parzialità e della natura prospettica delle notizie, sia di quelle provenienti dalla professione giornalistica sia quelle che emergono dalle interazioni quotidiane tra pari all’interno del web e dei social, dipende naturalmente da svariati fattori, come l’età, il grado di familiarità con i media, digitali e non; ma soprattutto dalla formazione culturale dei diversi soggetti che comprende ed oltrepassa il grado di istruzione e i percorsi formali. Tuttavia oggi è una consapevolezza abbastanza diffusa che spesso mettiamo da parte per motivi di carattere strumentale: ci serve sapere che tempo farà domani; ci serve sapere che cosa il governo ha deciso in merito alle misure di contenimento anti Covid (ahimè siamo in questo guado!); ci serve attingere un senso di compagnia e di comunanza con il nostro prossimo o, al contrario, trovare qualcosa su cui sfogare la nostra frustrazione, un capro espiatorio. È sempre per via di un atteggiamento fondamentalmente egoistico e strumentale che imbocchiamo certe scorciatoie. Il motivo dei motivi è restare a galla come sembra accadere agli altri; non essere da meno. E per realizzare questo obiettivo, dobbiamo essere straordinariamente veloci perché i contenuti di cui vogliamo essere partecipi attraverso i nostri schermi si aggiornano costantemente minacciando di lasciarci indietro. La velocità è una condizione intrinsecamente avversa all’approfondimento, alla concentrazione, ed innesca un circolo vizioso con la strumentalità: l’approccio con le informazioni è così strumentale perché veloce, ma anche veloce perché strumentale. A partire dal XVII secolo, il progetto della modernità ha fatto delle informazioni le fondamenta per il progresso scientifico e tecnologico, la democrazia, l’egemonia dell’Occidente, il controllo e lo sfruttamento della natura, l’accrescimento e la diffusione del benessere. Quanta responsabilità è stata loro assegnata! È un fatto, tuttavia, che esse, fondamentali per moltissimi aspetti, non abbiano prodotto tutti i miracoli attesi. E sembra che oggi ci si stiano rivoltando contro. Ci troviamo così a parlare di fake news. Ci troviamo a sperimentare sulla nostra pelle un tale inedito senso di disorientamento e sgomento in merito all’informazione da non poter trovare consolazione nell’idea che essa non sia mai stata veramente indipendente, veramente capace di restituire i fatti senza modificarli, in un modo o nell’altro. Rileggere la storia dell’informazione constatando che neutralità e indipendenza sono state soltanto un mito o, nella migliore delle ipotesi, un ideale regolatore per la deontologia professionale quasi sempre disatteso, non è sufficiente a spiegare né tanto meno a giustificare le dinamiche odierne che appaiono davvero fuori controllo. Proprio perché il tema è infinitamente vasto e si offre ad una trattazione interdisciplinare coinvolgendo moltissimi livelli, abbiamo dovuto fare delle scelte. Dal momento che la sovrabbondanza informativa è stata a sua volta affrontata con sovrabbondanza ed esistono molte pubblicazioni su questo tema, siamo rimasti abbastanza a lungo a documentarci sull’esistente e a discernere approcci. L’argomento ha infatti attratto giornalisti, sociologi, economisti, cultori dei media studies, esperti di web marketing, psicologi, scienziati cognitivi e media educatori: una sovrabbondanza paralizzante! Da ciascuno, naturalmente, è stato possibile trarre qualcosa di utile. Ma per quanto ci riguarda, abbiamo provato a costruire gradualmente e lentamente (l’editore spero mi perdonerà per questo!) un percorso di interpretazione sociologica classico; o per meglio dire, un percorso attraverso i classici in cui è possibile ravvisare la chiara anticipazione di ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. Il nostro itinerario teorico ha inoltre preso in considerazione alcuni studiosi contemporanei che però si sono implicitamente o esplicitamente iscritti in una tradizione, di scuola o di temi, che aveva avuto avvio prima di loro e che hanno portato avanti, trovandovi attualizzazione. Questa scelta è stata portata avanti soprattutto nei primi due capitoli. Mentre il terzo ha dato spazio alla fotografia e all’immagine che hanno guadagnato una rilevanza sempre maggiore nel mondo dell’infocomunicazione. Pensando prevalentemente, anche se non esclusivamente, agli studenti dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione, abbiamo ritenuto utile aiutarli a connettere il passato e il presente del mondo delle idee e della cultura entro il quale si muovono e nel quale dovranno trovare il proprio posto. Per raggiungere una adeguata capacità critica è importante contrastare la smemoratezza dei nostri giorni, riallacciare tutti i fili, riscoprire la strada che unisce la rivoluzione scientifica del XVII° sec. con i post del XXI°, provando a immaginare il futuro. Il primo capitolo quindi ha ripercorso le più significative teorie filosofiche e sociologiche sulla modernità, al cui interno razionalità e informazione hanno ricoperto ruoli essenziali: sono state infatti considerate ingredienti indispensabili per la realizzazione della promessa moderna. Razionalità e informazione sono state trattate da comprimarie nel racconto mitico ed eroico decollato con il positivismo: un racconto di ascensione laica verso il crescente benessere e la pace. Attraverso autori come Tocqueville, Comte, Marx, Durkheim e Weber abbiamo però messo in luce la paradossalità intrinseca della logica moderna e abbiamo introdotto i correlati concetti di post-modernità, tarda modernità e relativismo, visti come le tre differenti versioni degli sviluppi di quella storia. Il secondo capitolo prosegue il percorso avviato nel primo e presenta anche un’ampia apertura alle evidenze emerse nel campo della psicologia sperimentale applicata alle scienze economiche e al problema più vasto della razionalità. Il concetto di razionalità prodotto dalle scienze economiche classiche e neoclassiche infatti, se riferito oggi alla valutazione delle fonti, delle informazioni e al consolidamento delle opinioni, mostra i suoi non trascurabili limiti. L’affermazione del web, avvenuta sulla scia di un’altra narrazione mitica di affrancamento dal potere dei media e di appianamento di tutti i divari, ha riproposto lo stesso andamento paradossale. Il capitolo affronta, quindi, quegli aspetti della storia del web e dei media digitali che risultano fondamentali per farlo emergere. Infine, il terzo capitolo affronta il repentino cambio di reputazione della fotografia, accolta con giubilo per la sua presunta meccanica neutralità e diventata, nell’arco di pochi decenni, l’ambito espressivo più sospettato al mondo. Anche qui, viene ricostruita la narrazione che della fotografia è stata fatta, la narrazione mainstream. Ed anche qui, essa mostra un andamento paradossale. Vi sono tutti gli elementi per guardare all’attuale problema della disinformazione come ad un gioco circolare di spirali da cui sembra difficile uscire. Tuttavia questi circoli “viziosi” vanno prima individuati per poter essere poi spezzati. Per riuscire nell’intento di fare emergere questo disegno latente abbiamo dovuto distaccarci quasi del tutto dall’attualità. Vi si troverà, qua e la, solo qualche riferimento. Perché su un tema come questo, l’approccio induttivo e la ricerca degli esempi rischiano di diventare un inseguimento infinito. La realtà è ovviamente il punto di partenza di ogni indagine sociologica. Ma allo stesso tempo i suoi dettagli, ad un certo punto, vanno trascesi per non rimanere intrappolati nella parzialità.